FERDINANDO PANCIATICHI XIMENES D'ARAGONA

Biografia

Ferdinando Panciatichi nacque a Firenze il 10 marzo 1813 da Pietro Leopoldo e Margherita Rosselmini e morì a Sammezzano il 18 ottobre 1897.

Nel 1827, in seguito ad un lungo processo relativo al testamento di Ferdinando Ximenes d'Aragona (morto a Firenze nel 1815 e fratello della nonna paterna), i beni, il nome, lo stemma ed i titoli della famiglia Ximenes d’ Aragona, passarono al “nostro” Ferdinando, che così diventò unico erede dei Panciatichi e degli Ximenes e potè chiamarsi Ferdinando Panciatichi Ximenes d’Aragona. Fra i tanti beni ricevuti in eredità vi era anche la Villa castello di Sammezzano.

Influenzato esteticamente dalla corrente culturale e artistica definita Orientalismo, diffusa in tutta Europa dagli inizi dell'800 e che vide in Firenze uno dei maggiori centri, Ferdinando iniziò a modificare la struttura esistente del castello e a realizzare nuove ambientazioni e nuove sale.

Tra queste, meritano soprattutto menzione la Sala d’Ingresso, 1853, il Corridoio delle Stalattiti, 1863, la Sala da Ballo nel 1867 ed infine la Torre centrale che riporta la data del 1889.

Ferdinando Panciatichi Ximenes d'Aragona fu uomo molto attivo in vari settori della vita sociale: esperto di scienze, filantropo, mecenate, fine collezionista, melomane ed amante di Verdi. A vario titolo fece parte di innumerevoli enti fra cui:

  • Accademia dei Georgofili (1855)

  • Società di Orticultura (vice presidente)

  • Accademia di Belle Arti (accademico onorario)

  • Promotore per il monumento a Dante Alighieri in occasione del 6° centenario dalla nascita.

Come se non bastasse, fu anche un uomo politico molto impegnato nel periodo di Firenze Capitale e dell'Unità d'Italia. Di idee liberali e fiero anticlericale, Ferdinando Panciatichi fu consigliere nel Municipio di Reggello e di Firenze tra il 1859 e 1865 e consigliere del Consiglio Compartimentale (poi Consiglio Provinciale) tra il 1860 e 1864. Fu eletto per due volte deputato del Regno tra il 1865 e il 1867. Nel medesimo anno, pochi mesi dopo l’elezione, diede le dimissioni per protesta contro la legge sull’asse ecclesiastico che non garantiva di rispettare quanto invece promesso agli elettori.

In merito all'Unità d'Italia, Ferdinando ben presto mostrò la sua cocente delusione per come era nata l’Italia: tale scoramento è espresso in una frase in latino del 1870 riportata nella nicchia del Corridoio delle Stalattiti che, tradotta, recita: ”Mi vergogno a dirlo, ma è vero: l’Italia è in mano a ladri, esattori, meretrici e sensali che la controllano e la divorano. Ma non di questo mi dolgo, ma del fatto che ce lo siamo meritato”.

Riguardo al Castello di Sammezzano fu allo stesso tempo proprietario e committente; pur senza laurea specifica, fu ingegnere, architetto e geologo. Una spiccata intelligenza unita a buon gusto e capacità pratiche gli permise di ideare, progettare, finanziare il castello realizzando in loco e con l'ausilio di manodopera locale gran parte dei manufatti di cui il Castello è costituito.

Alla morte fu sepolto in una tomba collocata nel castello; Giovanni Pini, nell'adunanza del 15 dicembre 1897dell'Ordine degli Architetti, lesse la sua commemorazione. Il suo corpo fu poi traslato nel 1916 e sistemato nella cappella del Cimitero di Sociana, dove fu poi sepolta anche la figlia Marianna.

Ferdinando la designa usufruttuaria di tutti i suoi bene e lascia in eredità tutto il patrimonio ai bisnipoti Ferdinando, Alessandro e Marianna, figli di Maria Paolucci, sua nipote e del Conte Alberto di San Giorgio. Dalle disposizioni emerge anche la volontà del Marchese di lasciare a tutti i suoi collaboratori (dagli amministratori ai domestici) il salario percepito fino ad allora, vita natural durante, in segno di grande riconoscenza per tutti coloro che lavoravano per mantenere la tenuta ed il Castello di Sammezzano.